Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, Recensione – Il menefreghismo d’autore

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità è il film più personale di Alejandro González Iñárritu, ma anche uno dei meno convincenti.

bardo, la cronaca falsa di alcune verità

Uno dei più premiati registi dei nostri tempi, Alejandro González Iñárritu, torna a mettersi in gioco dopo 7 anni da Revenant - Redivivo con Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, presentato alla Mostra di Venezia in anteprima e ora disponibile in streaming su Netflix.

Il 2014 ed il 2015 sono stati anni a dir poco strabilianti per il regista messicano, che è riuscito a vincere tra Birdman e Revenant - Redivivo ben 7 Oscar in soli due anni. Anche per questo, le aspettative su Bardo e sul suo ritorno erano davvero alte e non vedevamo l'ora di poterlo ammirare di nuovo a lavoro. Tra l'altro, è il primo film a tutti gli effetti messicano di Iñárritu dai tempi di Amores Perros, suo primo lungometraggio uscito nel 2000.

Ci teniamo subito a sottolineare il nostro dispiacere per una scarsa distribuzione del film in sala, quanto meno in Italia, ma anche per il doppiaggio italiano che non è pervenuto. Difatti, troverete Bardo su Netflix solamente in lingua originale con sottotitoli, cosa che probabilmente ad uno spettatore medio non fa molto piacere. A prescindere dalla riuscita del film, quindi, era doveroso aspettarsi di più anche dal trattamento riservato al prodotto.

La crisi di un documentarista fuorisede

Silverio Gama è un documentarista e giornalista messicano di fama mondiale. Trasferitosi negli Stati Uniti con la famiglia per vivere una vita più agiata, torna a far visita il proprio Paese di origine, ma il rientro è quasi più difficile della partenza. Una serie di paure ed incertezze porteranno Silverio ad affrontare un periodo complesso, quello che potremmo definire come una vera e propria crisi d'identità, oltre che artistica.

Il viaggio che viviamo con lui, però, è più interiore: perso e confuso tra ricordi, sogni e incubi, Silverio vive una follia ad occhi aperti, frutto di un sé perduto tra le macerie delle proprie radici. Inizia così una dura lotta tra ciò che Silverio è e ciò che di Silverio appare.

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Bardo è il processo a Iñárritu fatto da Iñárritu

Una presa di coscienza, un'analisi dei propri limiti e dei propri punti di forza. Questo, fondamentalmente, è Bardo, la cronaca falsa di alcune verità. In realtà, è lo stesso termine a suggerirci la tematica della pellicola: in Tibet, il termine "Bardo" è un processo che inizia quando una persona è sul punto di morte, quando la sua coscienza si stacca dal corpo ed iniziare a viaggiare tra il mondo terreno e quello ultraterreno, e rappresenta il passaggio tra vita passata e futura.

In questa definizione possiamo ritrovare l'essenza dell'opera di Iñárritu, un'opera che purtroppo, però, non è riuscita a convincerci a pieno. Sicuramente apprezzabile il coraggio del regista messicano che, oltre a scostarsi dal cinema hollywoodiano dopo così tanti anni, decide di farlo nella maniera più complessa possibile, nonché con il film più personale di tutta la sua carriera. Anche troppo, ci viene da dire.

Chi conosce la storia biografica dell'autore avrà la possibilità di ritrovare in Bardo tantissimi riferimenti alla sua vita, ai suoi trascorsi, rendendosi conto di come Silverio Gama sia a lunghissimi tratti Iñárritu stesso. Al contrario, uno spettatore non troppo informato avrà difficoltà a comprendere fino in fondo il senso di alcune scelte.

Il risultato è che la pellicola non regala nulla a noi spettatori, quanto piuttosto avrà aiutato il regista in un suo periodo non facile. Non saremo sicuramente noi ad additare Bardo come un'opera per il proprio artista, visto che l'arte è soprattutto di chi la fa, ma non possiamo non evidenziare il fatto che il film può rivelarsi per l'estraneo che guarda come inutilmente onirico, storicamente già visto (l'esempio più lampante è 8 e mezzo di Fellini) e, come dicevamo, eccessivamente personale.

D'altro canto, Iñárritu sembra essere consapevole di quel che ha fatto e spesso durante la visione ci vengono sbattuti in faccia i difetti sopra indicati. Questo ci porta a dire che, più che una scommessa persa, Bardo è la massima espressione del "menefreghismo artistico", se così possiamo definirlo, il quale volente o nolente è ciò che fa bene all'artista, ma meno a chi guarda.

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Il talento non si può nascondere

Nonostante tutto questo discorso alla base, rimane oggettivamente indiscusso il talento del regista messicano, il quale anche in Bardo riesce ad esprimersi in una direzione degna di nota. Assieme alla fotografia, la regia del film è più che buona, con movimenti di macchina che ricordano Birdman, vedi i tantissimi e ben realizzati piani sequenza, ma anche con delle inquadrature che hanno dell'iconico. Bisogna comunque tener conto che il film ha delle venature decisamente politiche alla base, e quindi siamo sicuri che per il pubblico messicano più di qualche scena rimarrà impressa nella mente.

In più va sottolineata l'ottima interpretazione dell'attore protagonista, Daniel Giménez Cacho, le splendide scenografie di Eugenio Caballero (già vincitore dell'Oscar per Il labirinto del fauno), rafforzate dal frequente utilizzo del grandangolo, e le coreografie per mettere in scena alcuni piani sequenza complicatissimi. Come avrete capito, il problema di Bardo non è sicuramente l'apparato tecnico e visivo, nella quale Iñárritu anche questa volta non ha deluso.

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Bardo

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità è il film in assoluto più personale della carriera di Iñárritu, ma forse anche uno dei meno convincenti. Un'opera creata più per l'autore che per lo spettatore, il quale avrà la sensazione di star guardando qualcosa di inutilmente onirico e storicamente già visto. Non si discute però il talento del regista e il reparto tecnico e visivo del film, che ancora una volta non delude.

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