Decision to Leave, Recensione – L’amore in tutte le sue forme
Uscito nelle sale italiane il 2 febbraio 2023, Decision to Leave è il nuovo film di Park Chan-wook, acclamato regista del popolare Oldboy.
Park Chan-wook colpisce ancora. Sono passati diciannove anni da quando il suo Oldboy conquistò Quentin Tarantino e l'intera giuria del Festival di Cannes, eppure il suo cinema inebriante non sembra invecchiato nemmeno di un giorno. Forse, rispetto alla sferzante “trilogia della vendetta”, Decision to leave appare meno aggressivo, non così sfacciatamente esasperato. La violenza si è affievolita, mentre il pessimismo sociale, che un tempo permeava la soffocante atmosfera delle sue opere, si percepisce in modo più delicato, quasi indiretto, sintomo di una progressiva evoluzione tecnica e stilistica, verso un cinema che diventa sorprendentemente più elaborato e maturo.
Non è un caso che Decision to leave sia stato premiato con il Prix de la mise en scène al Festival di Cannes 2022: il regista sudcoreano firma per l'ennesima volta un capolavoro del cinema contemporaneo; un'opera densa, ricca di simbolismi e sfaccettature, che si inserisce all'interno di una filmografia già particolarmente complessa e stratificata.
Il dramma si tinge di noir
Decision to leave inizia con l'indagine del detective Hae-jun (Park Hae-il), il quale investiga sulla morte di un'abile scalatore precipitato dalla cima di una montagna. La principale sospettata è la moglie dell'uomo, Song Seo-rae (Tang Wei), un'immigrata di origine cinese che vanta tuttavia un alibi insuperabile. Nonostante le prove indirizzino il caso verso il suicidio, Hae-jun, ammaliato dalla sua bellezza, sorveglia incessantemente la donna, mettendo in secondo piano il suo matrimonio, ormai avvizzito e privo di empatia.
Il legame che si instaura tra i due protagonisti si rafforza parallelamente all'avanzare di una trama ricca di colpi di scena, la cui struttura atipica è il risultato della compresenza di più generi, a partire dal noir anni quaranta – Hae-jun sembra avere molto in comune con la figura dell'investigatore tormentato alla Humphrey Bogart – fino ad arrivare al thriller hitchcockiano e al dramma sentimentale.
Decision to leave, amore e morte
Nascondendosi dietro la maschera del racconto investigativo, il film descrive fondamentalmente un'intensa e contorta storia d'amore. Quello che intercorre tra i due protagonisti è un rapporto tormentato, costruito su sospetti e inganni apparenti, che vede l'esuberanza femminile della giovane contrapporsi alla statica passività dell'uomo; eppure è al contempo un legame simbiotico, estremamente passionale senza mai essere esplicitamente erotico o carnale.
Questa implicita ambivalenza è espressa attraverso i magistrali movimenti di macchina di Park Chan-wook, il quale scompone e ricompone l'inquadratura attraverso lunghi dialoghi in campo-controcampo e ampie carrellate laterali, rendendo tangibile l'immaginazione e dando vita a una vera e propria regia immersiva, capace di annullare completamente ogni distanza spazio-temporale.
Se è vero che in Decision to leave tutto è giocato sul dualismo, sulla forza attrattiva degli opposti – vicinanza e lontananza, attività e passività – allora il binomio amore e morte rappresenta il filo conduttore della vicenda, ciò che unisce la coppia e che infine, tragicamente, la separa. L'amore dilaga quando la morte sopraggiunge e viceversa, un continuo scambio di forze dal quale prende vita l'intera struttura narrativa.
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Una donna dai mille volti
Le figure femminili nelle opere del regista sudcoreano hanno spesso un ruolo determinante e il personaggio di Seo-rae non fa certamente eccezione: è infatti l'epicentro dal quale hanno inizio tutti gli sviluppi narrativi, la figura cardine attorno alla quale orbitano tutti gli altri personaggi.
È noto che Park Chan-wook sia stato fortemente influenzato dal cinema di Alfred Hitchcock, in particolare dal film La donna che visse due volte, di cui Decision to leave rappresenta quasi una versione speculare. Esattamente come la Madeleine di Kim Novak, anche la Seo-rae di Tang Wei è una figura multiforme, la cui molteplicità intrinseca si manifesta attraverso il ripetitivo susseguirsi di abiti e acconciature differenti, proprietà mutevoli di una natura prismatica e polimorfa.
A metà tra femme fatale e donna del mistero, la protagonista del film incarna dunque le passioni sopite e i desideri più reconditi del detective Hae-jun, il cui amore, a sua volta, scatena nella ragazza l'incontenibile necessità di evadere dalla realtà che la circonda, avvolta da un'eccitante sentimento di libertà.
Camminare nella nebbia
All'interno di un mondo apparentemente superficiale e inconsistente si nasconde una realtà intrisa di simbolismo, in cui nulla è davvero lasciato al caso. La barriera linguistica che separa i due protagonisti, ad esempio, può rappresentare, oltre che un ostacolo culturale, anche una convergenza tra due punti di vista differenti, due modi distinti di osservare il mondo e di comprendersi l'un l'altro.
Se una tecnologia sempre più onnipresente può scandire la quotidianità e facilitare la vita terrena, la sfuggevole immaterialità della natura compare insistentemente sullo sfondo della vicenda, materializzata dalla fitta nebbia che sembra avvolgere e intorpidire l'esistenza stessa del nostro Hae-jun. Nebbia che in qualche modo simboleggia l'amore di Seo-rae nei confronti dell'uomo; un amore sfumato e indefinito che, dopo averlo accompagnato per gran parte della pellicola, infine lo abbandona, “decide di andare via”, lasciando trasparire alle sue spalle un tramonto carico di profonda e malinconica tristezza.
9.5
HyRankDecision to leave
Decision to leave è un'opera densa, stratificata e ricca di simbolismo, in cui il thriller hitchcockiano si fonde con il noir e con il dramma sentimentale, dando vita a una trama che non lascia punti di riferimento e che, nel raccontare una classica storia d'amore, risulta estremamente originale e imprevedibile. Rispetto alle sue opere precedenti, caratterizzate da una violenza a tratti esasperata e da uno stile più aggressivo, la regia di Park Chan-wook appare qui decisamente più contenuta e matura, scandita da un'immersività e da una naturalezza a dir poco straordinarie. Dopo Oldboy e Lady Vendetta, ci troviamo di fronte all'ennesimo capolavoro firmato dal regista sudcoreano.