Ferrari, Recensione – L’ennesima americanata?

L’attesissimo Ferrari approda al Lido di Venezia. Tutto fumo e niente arrosto?

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Ferrari è il film diretto dal regista hollywoodiano Michael Mann (Heat, L'ultimo dei Mohicani) presentato questa sera in concorso al Festival di Venezia. La pellicola è un biopic su Enzo Ferrari, tratto dal libro di Brock Yates "Enzo Ferrari: The Man and The Machine". Siamo nel 1957, un anno di crisi per la celebre casa automobilistica che cerca di riscattarsi attraverso la storica corsa Mille Miglia.

Dopo il film di apertura Comandante (trovate qui la nostra recensione), approdano al Lido gli attori internazionali Adam Driver e Patrick Dempsey, accompagnati naturalmente dal pluripremiato regista. Gli attori di Ferrari avevano, infatti, ottenuto il lasciapassare dal SAG-AFTRA per promuovere la pellicola, in quanto prodotta da NEON, uno studio indipendente non affiliato all'AMPTP.

Tra sfide incalzanti in cerca di medaglie di gloria, pericolosi incidenti e parentesi passionali, Ferrari è un ennesimo tentativo da parte del cinema americano di raccontare una storia italiana, confezionato nella perfetta cornice hollywoodiana con un cast stellare.

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Ferrari: ascesa e declino dell'imprenditore

Siamo a Modena ed è il 1957. Enzo Ferrari (Adam Driver) ex automobilista e capo della Scuderia affronta un particolare momento di crisi personale, familiare e lavorativa. Sta ancora metabolizzando il lutto del figlio Dino morto precocemente a 24 anni, mentre continuano gli screzi con la moglie Laura (Penelope Cruz) che gestisce metà delle azioni dell'azienda, ormai sull'orlo del precipizio. La Ferrari, infatti, produceva e vendeva poche auto in rapporto alla quantità di denaro speso nelle corse. Per rilanciare l'azienda, la Scuderia deve battere la Maserati e vincere la storica e pregiata corsa Mille Miglia.

Questa pressione psicologica porta il protagonista Enzo a essere evidenziato come capro espiatorio. A ciò si unisce il peso della famiglia: non solo una moglie da rispettare ma anche un'amante, Lina (Shailene Woodley) e un figlio da gestire. Ed ecco che appare il peso dell'eredità e la risonanza del nome Ferrari che grava sul piccolo Piero.

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I "difetti di fabbrica"

A tratti potremmo classificare Ferrari come melodramma. Sì, perché Enzo è al centro di un triangolo amoroso che ruba gran parte del tempo ed approda a soluzioni quasi da telenovelas. Anche la patina fotografica, seppur realistica, appare come televisiva e non degna di un prodotto cinematografico.

Nelle sequenze dedicate, invece, alle corse automobilistiche lo spettatore è sicuramente trasportato nel vivo della gara grazie a un montaggio frenetico e alternato in cui ogni secondo conta. Qui sicuramente si nota l'esperienza ma anche la formazione classica di Mann e l'impronta da regista di film d'azione.

Anche chiudendo un occhio su questi "difetti di fabbrica", Ferrari non decolla mai, o meglio -per usare un gergo automobilistico- non riesce a superare neanche la prima curva rimanendo con le ruote per terra. Purtroppo il problema è la difficile credibilità, specie per il pubblico italiano, che ancora una volta vede americani protagonisti delle loro storie che cercano di rendere l'italianità, ma raggiungono risultati spesso ridicoli. Ferrari non è (fortunatamente) una confezione alla House of Gucci, ma manca poco per toccare questo vertice.

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Ferrari

Ferrari è l'ultimo prodotto del pluripremiato regista Michael Mann. Al centro la storia di Enzo Ferrari, più nello specifico pochi mesi del 1957 che hanno segnato la sua vita, in quel periodo in bilico sia sul fronte lavorativo che su quello famigliare. Il problema è purtroppo la poca credibilità degli attori (ad eccezione di qualche italiano) che si sforzano, da americani, di rappresentare l'italianità. A ciò si uniscono falle di sceneggiatura e parentesi melodrammatiche che non risultano piacevoli.

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