Il prodigio, Recensione – Tra immanenza e trascendenza
Il nuovo film Netflix, Il prodigio, vede Florence Pugh nei panni di un’infermiera nell’Irlanda del 1862 alle prese con una ragazza apparentemente miracolata
Il 16 novembre ha debuttato su Netflix il nuovo film di Sebastian Lelio con protagonista Florence Pugh, Il prodigio (The wonder), presentato al Toronto International Film Festival. Il regista cileno, vincitore del Premio Oscar nel 2018 per il miglior film straniero con Una donna fantastica (2017), per questa storia si ispira al romanzo di Emma Donoghue, che lavora alla sceneggiatura insieme a Lelio e Alice Birch. Il libro, a sua volta, prende spunto da fatti realmente accaduti che hanno visto protagoniste alcune digiunatrici religiose.
Siamo di fronte ad una pellicola che The Guardian ha definito “Un gioiellino magnetico e misterioso”, che affronta la fede ed il suo problematico rapporto di coesistenza con la scienza. Paesaggi nordici dell’Irlanda di metà Ottocento fanno da sfondo ad una prodigiosa interpretazione di Florence Pugh che ancora una volta non delude.
Il digiuno religioso
È il 1862, il periodo della Grande Carestia, una giovane infermiera inglese, Miss Elizabeth Wright, detta Lib (Florence Pugh), viaggia verso un villaggio dell’Irlanda dove vive la famiglia O’Donnell. Un comitato formato da alcuni membri come il sindaco e il medico del paese, ha convocato l’infermiera e una suora per “osservare” la piccola Anna (Kila Lord Cassidy), figlia degli O’Donnell, che non mangia da quattro mesi, più precisamente dal giorno dell’undicesimo compleanno; l’ultima cosa mangiata è l’Eucarestia.
L’osservazione durerà due settimane, nel corso delle quali le due non possono assolutamente confrontarsi ed entrambe alla fine del periodo dovranno esporre le loro tesi. L’infermiera e la suora si fanno simbolicamente portavoce rispettivamente della comunità scientifica e ecclesiastica.
Infatti, la bambina è considerata un prodigio, benedetta dal Signore, una miracolata, e la sua casa diventa luogo di pellegrinaggio dove accorrono numerosi visitatori, alcuni sono fedeli, altri soltanto curiosi o giornalisti. Fa parte di quest’ultima categoria Byrne (Tom Burke) che ritiene fermamente che la bimba sia soltanto una simulatrice.
Lib è convinta che Anna non si possa nutrire solo della “manna dal cielo”, come afferma, pertanto allontana tutti dalla sua stanza, compresa la povera famiglia, per concludere l’osservazione. Da dove Anna riesce a trarre nutrimento per sopravvivere? Davvero c’entra la fede religiosa o Anna è semplicemente una pedina nelle mani di qualcun altro?
Religione VS Scienza
La questione portante su cui si basa Il prodigio è l’opposizione religione-scienza. Inizialmente siamo portati a credere che la medicina non abbia risposte scientifiche per giustificare il prodigio della bambina, ma siamo davvero disposti a chiudere gli occhi davanti a questo evento miracoloso, senza trovare una risposta concreta che ci soddisfi?
È proprio per questo che Lib, imperterrita, cerca una spiegazione materiale. Lì dove il mondo (quello irlandese degli anni della carestia) afflitto e dolente, ma soprattutto affamato, si sazia di fede e vede in Anna la presenza del Signore, l’infermiera, invece, si appella alla scienza per trovare una soluzione immanente e non trascendente.
Ti potrebbe interessare:
"Siamo niente senza storie"
Un altro fil rouge de Il prodigio è il suo rapporto con le storie in generale. All’inizio e alla fine della pellicola lo spettatore si trova di fronte ad uno studio cinematografico che, con una carrellata ci porta “dentro” al film (all’inizio) e poi “fuori” dal film (nell’ultima scena). Questo passaggio metacinematografico che eleva l’operato registico di Lelio, è accompagnato dalla voce di un narratore esterno che ci invita a riflettere sull’importanza delle storie perché noi, “siamo niente senza storie”.
Questo messaggio è veicolato da una scena de Il prodigio in cui Anna gioca con un taumatropio: in base a come si muove il filo, l’uccellino disegnato ci appare dentro o fuori dalla gabbia, ma sta a noi deciderlo perché siamo noi a muovere i fili. Allo stesso modo, spetta a noi decidere quanto immergerci nella storia, stare, appunto, “dentro” o “fuori” (Inside; Outside).
Chi è davvero il prodigio?
Sebastian Lelio si era già confrontato con opere in cui le donne sono protagoniste dirompenti (si pensi al già citato Una donna fantastica) e Lib Wright non è da meno. Sicuramente Florence è prodigiosa in questa pellicola, portando avanti una narrazione di per sé lenta e a tratti immobile che però contrasta con la crescente suspance, evidente soprattutto nelle sequenze finali.
Altro lavoro prodigioso è quello fotografico: paesaggi nordici, della Gran Bretagna del Nord, aspri e freddi, spesso quasi cimiteriali, che trovano spazio in quei campi lunghi prediletti dal regista. Anche quando le scene sono girate in casa, la luce che proviene dalla lampada o dal camino è sempre fioca; persino le fiamme perdono quel calore che dovrebbe derivare dall’uso di toni caldi.
Forse ciò che disturba è soltanto la lentezza del racconto, che viene però offuscata dalla bravura di Florence Pugh la quale lascia trasparire il dolore del suo personaggio alle prese con il fanatismo di una società che deve obbligatoriamente credere in qualcosa.
7.5
HyRankIl Prodigio
Un ritorno in grande stile per il regista premio Oscar Sebastian Lelio che ci mette di fronte ad una storia particolare e lo fa con dei tratti cinematografici propri dei film d'autore. A completare il tutto una fotografia gotica e una prodigiosa Florence Pugh si oppongono alla lentezza del racconto.