Intervista a Pierfrancesco Favino: «Voglio ricreare fiducia nel cinema italiano»
A partire da L’ultima notte di Amore fino agli Oscar, una chiacchierata a 360 gradi con Pierfrancesco Favino.
L'ultima notte di Amore, il polar italiano di Andrea di Stefano con Pierfrancesco Favino nei panni del protagonista, è uscito nelle sale tre settimane fa ma la sua corsa al box office continua decisa. Il film ha convinto fin da subito pubblico e critica e ha innescato più di qualche ragionamento sul cinema nostrano, oltre che su di un genere ormai difficile da vedere sul grande schermo.
L'ultima notte di Amore è un'esperienza da vivere in sala per intensità e bellezza, un'opera che definiremmo quasi di altri tempi, seppur dimostri a lunghi tratti una spiccata modernità. Dal piano sequenza iniziale sulla Milano di notte fino ai più piccoli dettagli sonori, siamo sicuri che il nuovo film con Pierfrancesco Favino vi sorprenderà. Ora è il momento di andare al cinema.
Quale occasione migliore quindi per intervistare Pierfrancesco Favino, protagonista de L'ultima notte di Amore nei panni di Franco Amore e grande personalità da tempo riconosciuta in tutto il mondo.
Pierfrancesco Favino: «Stiamo sbaragliando le carte»
Il tuo ultimo film, L’ultima notte di Amore, è uscito nelle sale il 9 marzo e dopo tre settimane è ancora al secondo posto al box office, superato solo dal franchise di John Wick appena uscito. Te lo aspettavi?
Da quando ho firmato per L'ultima notte di Amore ho pensato che sarebbe piaciuto. Penso che adesso il pubblico italiano voglia vedere anche cose diverse. Ho pensato fin da subito che la sceneggiatura era scritta molto bene.
È un film che se la batte con altri film dal budget diverso (vedi Creed, Shazam! e ora John Wick) ma dimostra che si può fare qualità e intrattenimento allo stesso tempo anche qui da noi. Quando l’ho scelto c’era dentro di me tutto questo.
L’ultima notte di Amore, che in Francia definirebbero come un “polar”, ovvero un insieme di noir e poliziesco, è un film raro da vedere attualmente non solo nel panorama italiano, ma anche in quello internazionale. Credi che sia solo una questione di “tendenze produttive” o c’è qualcosa che effettivamente rende questo genere di film più complicato da realizzare o da ricevere per il pubblico?
Il cinema vive di ondate. Basta pensare a quello che è successo con Romanzo Criminale e Gomorra, hanno ricreato un genere che non si faceva da tanto tempo.
Sono particolarmente fiero del fatto che L'ultima notte di Amore abbia dei personaggi che solo noi italiani possiamo fare e che sarebbero difficili da "esportare". La più grande sfida per me e per il film era non creare un'imitazione di ciò che si fa negli Stati Uniti.
A proposito di personaggi e italianità, ho apprezzato molto il personaggio di Viviana, interpretata alla grande da Linda Caridi. Viviana secondo me, oltre ad essere un personaggio femminile moderno, è uno degli elementi grazie a cui il film riesce a mantenere ben salde anche le sue radici italiane. Quanto è stato importante per il film costruire al fianco di Franco Amore un personaggio di questo tipo?
È vero, è un personaggio femminile moderno, e questo dimostra come sia un uomo che una donna possono scrivere un personaggio dal sesso opposto senza problemi. È un personaggio che va oltre gli schemi classici del personaggio femminile.
Con Franco Amore ha un rapporto reale, che non sempre si vede sul grande schermo: non metti mai in discussione che si amano, ma scazzano in continuazione. Conosco molte più persone che condividono questa dinamica nella vita reale. È una coppia totalmente mediterranea. Possiamo farlo solo noi di ridere anche in situazioni drammatiche.
Parlando del tuo personaggio, Franco Amore: lui è un poliziotto quasi pensionato che, poco prima di lasciare un ambiente per cui prova “odio e amore”, si lascia coinvolgere in un lavoro notturno non pulitissimo, nonostante venga etichettato da tutti come un “poliziotto buono”. Franco Amore risulta essere un personaggio di assoluta credibilità, sia per la tua magnifica interpretazione, ma anche per la scrittura del personaggio in sé. Sei d’accordo con me nel dire che forse ciò che lo rende così credibile e affascinante è proprio la zona grigia in cui possiamo collocarlo?
Verissima la cosa che dici. È uno che si racconta di essere onesto, gli altri lo dicono. come tutti noi ha le sue zone grigie e questo lo rende riconoscibile e interessante.
Se tu pensi a quelli che erano gli eroi del cinema italiano, erano quasi sempre dotati di zone d’ombra. Non hanno quasi mai un eroismo in partenza, eroi lo diventano dopo. Sono per lo più profili di uomini comuni che durante le vicende del film scoprono energie che non pensavano di avere.
Comunque sì, Franco Amore potrebbe essere tranquillamente un qualsiasi poliziotto che puoi incontrare per le strade di Milano.
Verso la fine de L’ultima notte di Amore, Franco recita una battuta che mi ha molto colpito: “Per tutta la vita ho avuto l'ambizione di essere una persona onesta”. Ti è mai capitato di sentirti come Franco? Di sentire come se la tua onestà non stesse portando frutti?
Ti potrebbe interessare:
Penso che questa sia una cosa comune, certo, soprattutto quando ti vedi scavalcato da alcune dinamiche. Se l'obiettivo della tua ambizione che va di pari passo con strumenti leciti è raggiunto con strumenti illeciti ti porta frustrazione, ma questo è un argomentone che va a toccare anche il tema della giustizia nel nostro Paese.
Franco Amore sa anche di essere stato sconfitto, sa perfettamente che non andrà da nessuna parte.
A proposito di internazionalità, nel film, ambientato a Milano, sono presenti anche diversi attori asiatici. La popolazione cinese è una realtà ormai consolidata di Milano e la loro presenza risulta essere un valore aggiunto al film e alla sua realtà di messinscena. Visto che il tema dell’inclusione nel cinema è più che mai attuale, è questo il modo corretto di rappresentarla secondo te? Ovvero semplicemente rispecchiando ciò che ci circonda?
Questa discussione noi la stiamo importando da un Paese che ha una storia diversa dalla nostra. In Paisà uno dei protagonisti era un soldato di colore. Noi, con la nostra storia di sconfitti e conquistati, non abbiamo quel problema. Non dico che in Italia non esista razzismo o quella mentalità chiusa, ma alcune regole che portano poi un film a vincere diversi Oscar sono rischiose.
Io giudico un attore per le proprie capacità. Se io non mi trasformassi in nulla domani rischierei di poter fare solo ciò che sono, e fare ciò sarebbe negazione drammatica. Andrea di Stefano ha studiato e raccontato la realtà. Se ci fai caso ci sono due personaggi che parlano il milanese nel film e sono i due personaggi cinesi. Che questo discorso entri nel campo creativo è rischioso.
La malizia è nell'occhio di chi guarda. Non ho paura delle parole, ma di chi le pronuncia.
A proposito di Oscar, tu sei membro dell'Academy e voti per l'assegnazione dei premi. Come hai appreso la notizia? C'è qualcosa che puoi svelare sul metodo di votazione?
Quando mi hanno invitato è stato bello, ma l'ho sentita come una sorta di ricompensa per Il traditore, che non è arrivato più avanti nella premiazione per alcune questioni interne.
In poche parole sei ammesso in questo club, paghi annualmente e c’è una piattaforma dove puoi candidarti per quale categorie votare. Per farlo quindi devi vedere un minimo necessario di film per la categoria, e questo è un bene in realtà perché in altre premiazioni non c’è l’obbligo di vedere e dovrebbe esserci.
Noi che ti seguiamo sui social abbiamo notato tutto l’impegno che stai mettendo nel ricondividere i bei commenti che le persone stanno facendo sul film, ma oltre alla sfera professionale, qual è il tuo rapporto quotidiano con i social e con il web? Essendo sempre in prima linea, ti ritiene un po' il "paladino" dei film che fa?
Quando non ho un film in sala, non ho un bel rapporto con i social. Non sono il tipo che posta la colazione, un po' perché ridicolo e un po' perché credo che le persone abbiano interesse nel mio lavoro. Come fai a credere che sono Buscetta o Franco Amore se conosci tutto di me?
Il mondo di Instagram non mi piace, non mi piace l’idea di performance costante. Però è uno strumento comunicativo importante e per ogni film che facciamo troviamo un modo diverso per comunicarlo.
Mi ritengo il paladino dei film che faccio nel senso che sono il cavaliere della storia che scelgo di abbracciare. È stato bello per me riscoprire con questo film tutta questa parte di comunicazione. Ho la sensazione però che tanti ragazzi giovani non lo stanno andando a guardare, forse perché gli sembra una roba da vecchi. Sono fiero però di alcuni commenti, così come della vostra recensione, o di altri siti più piccoli.
Lo scoglio vero per me è portare i ventenni al cinema. Se questo film spaccasse quella breccia del "non me lo aspetto", riusciremmo ad avere un risultato ancora maggiore. La qualità del film c’è, ma le persone non si fidano.
Piuttosto sono io a chiederti quali potrebbero essere i modi per cui interessare voi al nostro cinema.
A dire la verità, tra le persone con cui ho parlato e che hanno visto il film, tutti ne hanno parlato bene, mentre per chi non ci è andato mi è sembra comunque propenso nel farlo.
Diciamo che non puoi più ragionare per schemi, la gente vuole vedere cose fatte bene, punto. Nel film americano vogliono il film americano invece. Io sono contento perché stiamo sbaragliando le carte, il mercato sta dicendo che non c'è più fuffa che regga. Mi rode però che su un film così le persone debbano scavallare la sfiducia nel fatto che è un film italiano perché questo film non ha niente da invidiare a quelli che gli sono sopra. Sarebbe una bella cosa per far capire che l'asticella deve essere alzata.
Io voglio ricrearla questa fiducia quindi cerco di fare le cose sempre in un certo modo.
Chiudiamo con una domanda sul futuro di Pierfrancesco Favino in cui ammetto di essere un po' di parte: devi sapere che io sono nato a Taranto e so che proprio recentemente hai girato il tuo prossimo film qui, Il comandante. È vero che è stato ricostruito per il set un sommergibile di 73 metri? Cosa possiamo aspettarci dal tuo prossimo ruolo?
Si sente che sei di Taranto. Comunque sì, è vero. Posso solo dirti che lo scenografo de L'ultima notte di Amore è lo stesso de Il comandante. È veramente bravissimo ed è stato decisamente impressionante.
È molto bello vedere che si inizia ad avere un ambizione produttiva che poi alla fine ripaga. A proposito di appartenenza culturale, io credo che oggi ancora siamo legati ad una idea di artigianalità e questa è stata una operazione enorme. Sono stato trattato benissimo, coccolato ed ho passato qualche mese molto bello.
Ringraziamo ancora una volta Pierfrancesco Favino per averci dedicato il suo tempo e vi consigliamo ancora una volta di correre al cinema a vedere L'ultima notte di Amore.