Oh, Canada, Recensione: Richard Gere tra finzione e realtà
Paul Schrader firma la regia di Oh, Canada, una storia di rimpianti e ricordi, intrisa di tenerezza.
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Intenso e malinconico. Possiamo così riassumere Oh, Canada, ultimo lavoro di Paul Schrader, che vede protagonista Richard Gere, affiancato da Uma Thurman e Jacob Elordi, in una storia di ricordi e liberazione.
Oh, Canada: di cosa parla?
Leonard Fife è un famoso regista di documentari, acclamato nel settore per aver raccontato sempre la verità delle storie degli altri in un modo del tutto originale e per aver disertato la guerra in Vietnam. Quando due suoi ex studenti decidono di girare un documentario su di lui, arriva finalmente per Leonard – ormai malato terminale – il momento di raccontare la sua verità, discostandosi così dall'idea eroica che gli altri hanno sempre avuto di lui. Un’ultima confessione sincera al pubblico, a se stesso e soprattutto a sua moglie, Emma, a cui sente di dover confidare pubblicamente tutto ciò che le ha tenuto nascosto negli anni.
Il racconto tra illusione e verità
Con Oh, Canada Paul Schrader (tra le altre cose sceneggiatore di Taxi Driver) accende i riflettori sull'importanza del racconto e su come il raccontare possa plasmare la percezione del nostro vissuto. Il film non è altro che una lunga intervista in cui il protagonista narra la sua storia, i suoi ricordi e i rimpianti, a partire dal momento in cui "il fiore velenoso sbocciò".
Il mito idealizzato della sua persona viene decostruito attraverso l'uso di flashback che ritraggono il suo passato. La ricostruzione dei ricordi, e dunque della sua vita, è a tratti confusa, frammentata, a tratti lucida. Anche la mancata somiglianza con il suo Io più giovane, interpretato da Jacob Elordi, concorre a confondere la realtà: una scelta apparentemente inappropriata e inverosimile – vista appunto la differenza fisica tra i due attori e la totale mancanza di somiglianza –, che però vuole marcare la linea di confine tra chi era veramente Leonard Fife e la proiezione che il documentarista ha di sé.
Confusione registica o scelta consapevole?
La tecnica di racconto utilizzata da Schrader unisce passato e presente in maniera quasi convulsa. Affida alla precarietà fisica e mentale di Leonard la responsabilità di riportare in vita un passato confuso e forse solo parzialmente vero riflettendo quest’incertezza nella scelta del bianco e nero e del formato della pellicola.
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Schrader, infatti, alterna continuamente bianco e nero e colore, a volte anche nella stessa sequenza, e cambia formato allargando e restringendo i bordi senza un’apparente logica: un ritratto della mente del protagonista, che ormai consumato da farmaci e antidolorifici, confessa cripticamente verità e finzione.
Va detto che da fuori risulta difficile distinguere la realtà dalla fantasia, ma il risultato è comunque efficace e lo è grazie alla magnifica interpretazione che ci regala Richard Gere, che salva il caos cronologico degli eventi raccontati.
La voce narrante accompagna lo spettatore per tutta la durata del film. È quasi un monologo quello di Richard Gere, che a tratti fa sembrare sia lo stesso attore a parlare, e non il suo personaggio, quasi a sembrare che sia un documentario sulla sua vita e non su quella di Leonard. La sua interpretazione è intensa e sentita, emotivamente trasportata.
Rabbia e malinconia si mescolano in un racconto discontinuo e reale che, se inizialmente rischia di creare distacco ed estraniamento, porta invece lentamente a decifrare i protagonisti e la loro umanità. La dimensione intima che incornicia la pellicola crea il presupposto per empatizzare con il protagonista, e con sua moglie, Emma, interpretata da Uma Thurman. Si empatizza con la loro tristezza, con la malinconia degli occhi, con la vecchiaia e la voglia di redenzione che si raggiunge quando "tutto ciò che rimane è il passato".
La struttura filmica è poco lineare, ma al contempo audace e coraggiosa. Nonostante la difficoltà nel comporre il puzzle di una vita che non appare mai chiara, l’interpretazione di Richard Gere – e quella di Uma Thurman al suo fianco – supera l’impasse emotiva che si crea inizialmente e arriva dritta al cuore.
Nota di apprezzamento infine per il doppiaggio e i dialoghi italiani, curati da Lucia Paccoi, che restituiscono la commozione e la mimica tenera dei personaggi.
7.5
HyRankOh, Canada
Oh, Canada è un film che disorienta e che ci fa poi ritrovare, che getta le basi per una totale empatia nonostante la struttura confusa. L'interpretazione di Richard Gere è commovente e incredibilmente vera.