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Paradise, Recensione: il thriller di cui avevamo bisogno

Paradise è la nuova serie thriller firmata Disney+, che cattura l’attenzione e smuove le coscienze. Ecco perché dovreste proprio vederla.

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Paradise, la nuova serie Disney+. Copertina

Un thriller-drama-psicologico dai tratti premonitori (nel miglior-peggiore degli scenari futuri) che si unisce perfettamente alla science fiction e appaga la nostra sete di utopia. Un’idea indubbiamente interessante che interseca emozioni e paure contemporanee, instillando curiosità e generando dubbi. Ingredienti principali: sorpresa e colpi di scena.

Dan Fogelman, già sceneggiatore di piccoli capolavori come Rapunzel, Cars, Bolt, Crazy Stupid Love e dell’amata serie This is us, torna sul piccolo schermo e ci offre l’ultima sua fatica: Paradise. Noi abbiamo visto in anteprima i primi 7 episodi della prima stagione e, in attesa del finale, vi lasciamo la nostra recensione.

Di cosa parla la nuova serie Disney+, Paradise?

Una tranquilla comunità, abitata da alcune tra le persone più influenti e importanti del mondo, vive in un vero e proprio “paradiso” terrestre: una città sotterranea realizzata ad hoc per sole 25 mila persone. La vita procede serena e indisturbata, ma subisce una battuta d’arresto quando si verifica uno scioccante omicidio.  

Sterling K. Brown nei panni Xavier Collins (2025) in Paradise.
Sterling K. Brown nei panni Xavier Collins (2025) in Paradise.

Si apre così un’indagine ad alto rischio, di cui Xavier Collins (Sterling K. Brown), responsabile della sicurezza del Presidente degli Stati Uniti, si fa carico. La sua è una missione personale, che ha l’obiettivo di districare i nodi e i segreti che sostentano la nuova vita sulla terra. Cospirazioni, omicidio e informazioni top secret sulla sicurezza nazionale costituiscono l’intricato caso da risolvere.

Premonizione o utopia?

"È solo un altro giorno in paradiso", cantava Phil Collins, ma qui c'è molto di più. Ciò che incuriosisce e rende interessante la serie è il timore che prova lo spettatore quando, al termine della prima puntata, viene svelato il primo grande interrogativo e si trova di conseguenza a empatizzare con la storia.

Dan Fogelman racconta e disegna le tematiche attuali – cambiamento climatico e tecnologia in primo piano – come ipotetiche premonizioni per il futuro e ciò porta, indubbiamente, a porsi dubbi e a paragonare la nostra realtà a quella dipinta dallo sceneggiatore.

In un’epoca, la nostra, di forte scombussolamento psicologico, economico e sociale, riusciamo a leggere importanti analogie con la serie, prima fra tutte la disparità tra “forti e deboli”, tra chi ha i mezzi e le risorse per sopravvivere e chi invece viene lasciato indietro, perché non utile alla sopravvivenza collettiva. “Noi da che parte staremmo? Cosa faremmo? Saremmo tra quelle 25 mila persone?”, sono le domande che ci si pone nel guardare la serie. Giudicare e decidere da che parte schierarsi è meno scontato di quanto sembri.

Sterling K. Brown nei panni di Xavier Collins in una scena di Paradise (2025).
Sterling K. Brown nei panni di Xavier Collins in una scena di Paradise (2025).

Nonostante i continui flashback – tuttavia necessari e chiarificatori – e alcuni passaggi un po’ più lenti, si rimane incollati allo schermo incuriositi soprattutto da una domanda: cos’è successo prima (della fine del mondo, nda)?

Si rincorre la risposta episodio dopo episodio, forse anche sperando di smantellare il parallelismo che naturalmente lo spettatore è portato a fare con il presente della vita reale. Eppure, è proprio il “gioco” temporale, insieme alla recitazione degli interpreti, a far funzionare il tutto. Passato e presente si scambiano continuamente per completare il racconto, denudare i personaggi e scoprire il loro trascorso.

Il susseguirsi di falsi indizi, a rivelare il colpevole (ammesso che ce ne sia uno solo), è il fil rouge di questo thriller. L’esperienza ci insegna che l’apparenza inganna, e in Paradise non si fanno eccezioni.

Psicologia e attualità: il labile confine tra il bene e il male

La sceneggiatura è il punto di forza di Paradise. Diverse sono le somiglianze con il nostro mondo, a partire dalla classe politica dirigente che crea diffidenza e sfiducia nel futuro, per  continuare con le disuguaglianze sociali ed economiche, per poi inevitabilmente finire con la più grave piaga del secolo: il cambiamento climatico.

In che modo potremmo salvarci se la Terra diventasse (o forse sarebbe meglio dire quando la Terra diventerà…) invivibile? È davvero possibile che la soluzione possa risiedere nella costruzione di un paradiso terrestre ad hoc? La risposta è no. Non è possibile, quantomeno ad oggi. È utopia, ma l’utopia è spesso sinonimo di speranza. Ci si rifugia in un’ipotesi utopistica per consolarsi e non pensare, ma è solo astrazione, non realtà.

Ciò che di interessante si evince guardando Paradise è quanto tutto sia sempre molto relativo e soggettivo, e quanto spesso ce ne dimentichiamo. Il nuovo mondo, in cui solo 25 mila persone hanno la fortuna di continuare a vivere, è per alcuni un inferno, la seconda e asettica parte della propria vita; per altri è un paradiso, una possibilità di redenzione, una seconda chance per essere una persona migliore, come per Billy (Jon Beavers). È forse meglio, a volte, cullarsi in una bugia, se più sopportabile e morbida della verità.

Inevitabile domandarsi, qualora uno scenario del genere fosse mai realizzabile, se saremmo in grado di creare un mondo privo di violenza, libero dal male. Ma forse questi sono batteri endogeni nella società, nell’uomo. Paradise ci pone sottilmente di fronte alla realtà dei fatti: anche in un mondo completo e costruito su misura, a governare è la legge del più forte. C’è sempre una classe dirigente, probabilmente corrotta, che gioca a fare Dio, che come un burattinaio muove i fili di una comunità decidendone la sorte. 

La concitazione di alcuni momenti e la vicinanza in termini di probabilità reali che ciò che vediamo si verifichi davvero portano lo spettatore a immergersi e immedesimarsi totalmente nella storia, specialmente sul finale.

La regia è attenta, talvolta fredda, ricca di primi piani. La storia è continuamente spezzata su livelli cronologici diversi che, se inizialmente rischiano di confondere e disorientare, si ritrovano sul finale per chiudere il cerchio e – finalmente – rispondere alle nostre domande.

Caratterizzazione dei personaggi

Sterling K. Brown (già pupillo di Fogelman in This is Us) interpreta Xavier Collins, un personaggio tormentato e severo che agisce sempre in virtù della propria etica. Dalla parte dei giusti e con un forte senso del dovere, pronto a sacrificare la propria vita in nome della patria e dell’amore, Collins è il personaggio di cui ci si innamora a prima vista. L’interpretazione è intensa, sentita.

Non da meno è James Marsden, nei panni del Presidente degli Stati Uniti d’America Cal Bradford che, con una giusta dose di comicità, ispira tenerezza e comprensione. Il suo è un Presidente anticonvenzionale, attento al lato umano delle persone che lo servono e lo circondano.

James Marsden nei panni del Presidente degli USA nella serie Paradise (2025).
James Marsden nei panni del Presidente degli USA nella serie Paradise (2025).

Julianne Nicholson è invece Samantha, una donna spregiudicata e autoritaria con un dramma alle spalle che ha scelto per lei chi essere e chi rappresentare. Il binomio maternità-potere è perfettamente incarnato nella sua figura e nei suoi gesti, in particolare nella mimica facciale.

Un cast, dunque, di tutto rispetto, che rappresenta intensamente lo stato viscerale della nostra società e del mondo in cui viviamo. 

Riferimenti esterni tra cinema e musica

Diversi e di diversa natura sono i rimandi a modelli esterni, cinematografici e non, presenti nella serie. Impossibile non riconoscere, primo fra tutti, un forte richiamo a The Truman Show nella scenografia e nell’impostazione narrativa del racconto. L’idea di totale controllo, che trova il suo apice nella manipolazione del tempo e dei colori artefatti del cielo, permea l’intera narrazione e diventa la chiave di lettura principale per i personaggi e gli eventi che si susseguono.

Altro riferimento, più o meno velato – e oggi più che mai attuale anche nel mondo reale – è quello a Don’t look up (regia di Adam McKay, con Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence), film che racconta e testimonia l’indifferenza e lo snobismo della società odierna nei confronti della scienza e del destino del nostro pianeta.

Tocco di classe infine nella scelta delle musiche, azzeccate per tema e richiamo linguistico: Another day in paradise (Phil Collins) – ovviamente – e We built this city (Starship) accompagnano immancabilmente alcune scene iconiche.

Paradise è una serie che merita. È un puzzle utopico da costruire pezzo dopo pezzo, e Dan Fogelman ce li fornisce tutti in maniera piuttosto lineare. Bisogna darle fiducia e avere pazienza, ma se avete un po’ di tempo da dedicarle, non ve ne pentirete.

La serie firmata Disney approda con i primi tre episodi oggi 28 gennaio su Hulu e Disney+. I restanti cinque episodi saranno poi disponibili sulla piattaforma con cadenza settimanale. 

Paradise, la nuova serie Disney+.

7.5

HyRank

Paradise

Dan Fogelman fotografa le paure, le ansie e l’incoerenza dell’uomo contemporaneo in un thriller concitato e ricco di colpi di scena che rimescolano continuamente le carte. Dalle immagini del suo racconto risuonano l’inquietudine e la speranza di una generazione che deve fare i conti con le ingiustizie del passato.

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