Che fine hanno fatto le copertine dei videogiochi?
Per chi è appassionato di videogiochi, entrare in un negozio e guardare tutti i giochi esposti sui vari scaffali è la stessa sensazione che prova il famoso “bambino in un negozio di caramelle”. Le custodie dei molti titoli esposti colorano la parete dello shop grazie alle copertine, che in quanto tali, attraggono i clienti in […]
Per chi è appassionato di videogiochi, entrare in un negozio e guardare tutti i giochi esposti sui vari scaffali è la stessa sensazione che prova il famoso "bambino in un negozio di caramelle". Le custodie dei molti titoli esposti colorano la parete dello shop grazie alle copertine, che in quanto tali, attraggono i clienti in base a quanto queste siano attraenti. Una copertina è per un giocatore straniero al prodotto la prima informazione che questo ottiene del gioco, e da questa ne può infatti dipendere l’acquisto, e proprio per questa ragione che una cover deve essere bella.
Tuttavia, da qualche generazione, le key art presenti sulle custodie hanno subito un’omologazione, dovuta alla pigrizia degli studi e alla poca importanza che viene attribuita a una copertina, e questo ci ha portato ad avere scaffali pieni di custodie tutte uguali distinte da pochissimi elementi.
Ma prima di parlare di cosa sono diventate le copertine del mondo videoludico, facciamo un passo indietro, e parliamo della loro origine e del valore che avevano.
Il Passato
Prendiamo in considerazione le generazioni videoludiche fino alla sesta, cioè l’epoca della mitica PlayStation2.
Al tempo Internet non era accessibile a tutti, o perlomeno lo era, ma non in ogni momento come siamo abituati oggi e perciò, per conoscere un gioco, tutto ciò che si aveva era la copertina. I videogiochi delle generazioni passate avevano stampato sulla custodia un artwork che DOVEVA essere bello per attirare l’attenzione del consumatore. Spesso era rappresentato il protagonista o l’elemento principale del titolo in maniera stilizzata ma che comunque facesse capire la natura del gioco. Prendiamo come esempio la cover del primo Mario Kart, uscito nel 92 per lo SNES.
Mario era già un’icona al tempo, e per far intendere che non fosse un Super Mario come gli altri, l’idraulico è seduto su un kart, così come tutti gli altri personaggi presenti, che rappresentano il roster completo del gioco. La copertina quindi fa capire che si tratta di un gioco di corsa con protagonisti i personaggi di Super Mario, e oltre al bellissimo disegno è anche presente un sottotitolo che recita le parole ‘’where racing becomes an adventure’’ (dove la corsa diventa un’avventura).
La cover di Super Mario Kart non è solo bella, è anche utile poiché fornisce tutte le informazioni basilari di cui un videogiocatore ha bisogno. Oltre al già visto sottotitolo, erano solitamente presenti altre informazioni, come il numero di personaggi presenti o il numero di livelli.
Ovviamente, come prevedibile, con la copertina come unico modo di attirare l’attenzione su uno scaffale pieno di videogiochi, queste venivano pompate al massimo e si presentavano con disegni esagerati che spesso non avevano niente a che fare con il gioco stesso, risultando in una pubblicità ingannevole. Basta vedere come persino l’impopolare gioco di E.T. targato Atari disponesse di una bella copertina.
Insomma il mondo dei videogiochi era cosparso di belle copertine, indipendentemente dalla qualità dei titoli e questo non solo abbelliva le già menzionate pareti dei negozi, ma anche le collezioni di noi videogiocatori.
Il Cambiamento
Ma il tempo cambia tutto, e questo cambiamento arriva con la settima generazione di console, capitanata da PlayStation 3, Xbox 360 e Nintendo Wii.
Da qui, le artwork hanno perso il loro posto sulle custodie e a sostituirle abbiamo dei render con grafica 3D dei personaggi del gioco su uno sfondo. Il dinamismo e l’esagerazione ora è rimpiazzato dalla semplicità di un personaggio su uno sfondo, e questo stile è ancora il più utilizzato ben due generazioni dopo, con PlayStation 5 e Xbox Series X.
Le copertine ora sono tutte simili fra di loro, e ora viene utilizzato un singolo elemento per definire il genere di gioco trattato. Se il personaggio ha un’arma da fuoco è uno sparatutto, se ha una spada si tratta di un gioco di ruolo e così via. Il discorso si estende per tutto il mercato, partendo dalle piccole produzioni, fino ai titoli AAA, a prescindere dalla qualità di questi. Basti vedere le cover di un qualsiasi Call of Duty uscito nelle ultime 3 generazioni, dove per quanto questi si differenzino da setting ed epoca storica, la keyart è quasi identica.
O per fare un altro esempio, The Witcher 3: Wild Hunt, titolo di una qualità indiscutibile ma con una cover art a dir poco pigra.
Ma a cosa è dovuto questo stravolgimento? Le principali ragioni possono essere 2.
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La prima riguarda l’utilizzo della computer grafica, che durante la settima generazione ha raggiunto un alto livello di godibilità al punto da poter permettere ai personaggi 3D di essere stampati in copertina. In questo modo viene anche subito mostrato lo stile artistico del gioco in questione, così da dare un ulteriore idea di cosa abbiamo tra le mani.
La seconda ragione è l’esatto polo opposto delle copertine di un tempo. Con Internet accessibile a tutti e in qualsiasi momenti tramite i nostri smartphone o altri strumenti, per conoscere ciò che realmente c’interessa di un gioco basta digitarne il nome su Google per scoprire in pochi secondi di che si tratta, che tipo di gioco è, che voto ha su Metacritic e persino il finale, influenzando di sicuro il nostro acquisto se ignoranti del prodotto.
In questo modo le copertine perdono grande importanza dal punto di vista commerciale, e gli artwork disegnati ora hanno vengono principalmente utilizzati come materiale promozionale del gioco (e in molti casi, sono anche meglio della keyart) o come cover di edizioni speciali come limited o steelbook che sono rese volutamente più appetibili rispetto alla versione base.
Questo discorso vale per la maggior parte del mercato videoludico, seppur di tanto in tanto compare qualche gradita eccezione che non si limita mostrare un personaggio o solo la sua faccia
Il valore
Ora, tutti sanno immediatamente quello che vogliono sapere su un gioco e le copertine non hanno la stessa importanza, ma concentriamoci un attimo su un’altra considerazione: perché è importante avere una copertina bella?
Personalmente non penso che una copertina debba essere per forza un’opera d’arte per essere approvata, ma ritengo che questa debba riuscire a incarnare lo spirito del videogioco stesso.
Per approfondire questo punto prendiamo in considerazione due copertine dello stesso gioco, ma in versioni diverse, ovvero Demon’s Souls per PS3 in versione occidentale e in quella originale giapponese.
La copertina della versione rilasciata in occidente incarna alla perfezione tutte le caratteristiche già menzionate delle ultime generazioni. Il poster boy è un cavaliere che brandisce una spada (quindi è un gioco di ruolo) fatto con grafica 3D su uno sfondo nero, con il logo al centro della copertina. Cosa ci dice questa cover? Che nel gioco ci sono le armi? I cavalieri? Ma soprattutto, quanto questa incarna l’essenza di Demon’s Souls? La risposta è ben poco.
Ora prendiamo in discussione quella rilasciata in Giappone.
L’elemento principale è lo stesso, un cavaliere con uno scudo e una spada, ma che stavolta giace esausto in seguito a un combattimento. Questa cover è comunque incline alla tipologia moderna, con un semplice personaggio su sfondo, ma incarna la vera essenza di Demon’s Souls, in un momento dove il giocatore, dopo uno scontro mortale contro dei nemici o un boss, esce vittorioso ma sfinito, qui rappresentato con il suo avatar (il cavaliere) abbattuto, ma vivo, e vittorioso. L’attenzione è quindi data alla fatica, allo scontro, e alla vittoria, 3 fattori che io reputo definiscano Demon’s Souls alla perfezione.
Il fine di questo articolo non è di screditare la new age delle copertine poiché del resto i gusti sono soggettivi e sicuramente non si giudica un videogioco dalla copertina, ma da videogiocatore preferirei che i videogiochi che adesso colorano le pareti non di un negozio ma di camera mia, non sembrassero tutte lo stesso gioco.