Queer, Recensione: l’essenza di Guadagnino

La recensione del nuovo, intimo e personale film del regista di Challengers

Queer, Recensione: l’essenza di Guadagnino

Queer è il nuovo film di Luca Guadagnino, presentato in concorso all'81° Festival del Cinema di Venezia. Si tratta di un film che il regista di Call me by your name voleva realizzare da tempo, da quando, ancora diciassettenne, si trovò tra le mani il romanzo di William S. Burroughs. Ora lo scrittore è considerato uno degli esponenti letterari più significativi della beat generation. Scrive Queer nel 1952 e lo pubblica più di trent'anni dopo (nel 1985) a causa del contenuto esplicito di questa storia d'amore omosessuale; in Italia arriva con il titolo di Checca o Diverso.

Come gli altri romanzi di Burroughs (ad esempio Junky- La scimmia sulla schiena), anche Queer è un'opera autobiografica in cui il protagonista, Lee, non è altro che un alter-ego del suo stesso scrittore. La storia, profonda e personale, è sempre stato un sogno nel cassetto, una trasposizione cinematografica a cui Guadagnino teneva da tempo ma che solo ora ha avuto occasione di realizzare. Solo ora, con la maturità dell'età adulta, ma con la stessa curiosità del giovane ragazzo che, a diciassette anni, aveva tra le mani il romanzo di Burroughs.

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È proprio sul set di Challengers che lo sceneggiatore Justin Kuritzkes legge Queer e propone una sceneggiatura a Guadagnino. E così, dopo il successo di Challengers, il sodalizio tra lo sceneggiatore e il regista continua, così come la collaborazione con i compositori due volte premi Oscar, Trent Renzo e Atticus Ross (The Social Network e Soul). A completare il quadro, un perfetto Daniel Craig che regala un'interpretazione viscerale e si mette a nudo in un'opera tanto complicata quanto astratta, una profonda storia cupa di amore e solitudine. Il film più intimo e più personale di Guadagnino, anche quello più esplicito, che unisce l'amore alle fosche tinte horror, in un viaggio surreale.

La trama di Queer: un viaggio alienante alla scoperta di sé stessi

Queer racconta la storia di William Lee (Daniel Craig) che nel 1950 arriva dagli Stati uniti a Città del Messico dove inizia una vita amorosa turbolenta, sempre gettato in qualche bar a bere tequila, fin quando non incontra il giovane studente Eugene Allerton (Drew Starkey) con il quale ha modo di stringere un rapporto differente rispetto ai tanti occasionali avuti in precedenza.

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E così tra completi in lino, un romantico erotismo, un' intensa attrazione sessuale e forti dipendenze dalle droghe, scorre questa storia d'amore allucinata tra Lee ed Gene. Queer è diviso in capitoli e nasce come un racconto di un amore delicato ma ossessivo. Sfocia poi in un vortice trascendente, allucinato e astratto di dipendenze (come il sesso e le droghe), nella disperata ricerca di un' unione solida, di telepatia, dello yage.

I'm not queer, I'm disembodied

Queer è un film personalissimo, in cui c'è tanto (quasi tutto) della vita di William Burroughs. Si tratta di un'opera complicata, che necessita sicuramente di una seconda visione per coglierne i vari riferimenti ma che ha bisogno anche di sensibilità per essere apprezzata. L'interpretazione di Daniel Craig è estremamente viscerale: abbandonato lo smoking, si avvolge con completi in lino, è estremamente fragile, solo, alla ricerca disperata di sé stesso e di un legame stabile. Prende la pistola in un'ultima e tormentata visione allucinata.

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I'm not queer, I'm disembodied. Continua ostinato a ripetere Lee, che a tratti rigetta la sua natura. E proprio il corpo è un elemento figurativo fondamentale nelle sequenze finali. Quelle in cui si cerca lo yage, la pianta magica, per ottenere la telepatia. Le scenografie, la fotografia e le musiche (Come as You Are dei Nirvana) si sposano con questa favola senza lieto fine, in cui Lee, cercando di relazionarsi con gli altri, continua a perdere sé stesso.

Voto:

9

Queer

Queer è un film estremamente personale, un film che Guadagnino voleva fare da tempo. Parte come una storia di amore e ossessione e si perde in un vortice allucinato e astratto. L'interpretazione di Daniel Craig è viscerale. Le musiche, la scenografia e la fotografia si sposano tra di loro in questo racconto di profonda solitudine e disperata ricerca di sé.

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