Rapito, Recensione – Il suggestivo quadro di Bellocchio
Rapito è il nuovo avvincente film di Marco Bellocchio, in concorso al Festival di Cannes. Ecco la nostra recensione.
Marco Bellocchio si sa, non ha certo bisogno di presentazioni, essendo uno dei cineasti più importanti ed influenti del panorama cinematografico contemporaneo, nazionale e non. Il suo Rapito ha debuttato il 23 Maggio a Cannes, dunque il Maestro ha scelto ancora una volta la Croisette che già aveva ospitato lo scorso anno Esterno Notte. E diciamo che non è cambiato molto dal precedente Festival dal momento che in compagnia del regista troviamo ancora una volta Fabrizio Gifuni, Fausto Russo Alesi e Paolo Pierobon; al cast si aggiungono poi Barbara Ronchi e i protagonisti Enea Sala e Leonardo Maltese che interpretano rispettivamente Edgardo Mortara da bambino e da ragazzo.
La vera storia del bambino ebreo rapito dalle istituzioni cattoliche aveva attirato l’attenzione di un altro grande cineasta, Spielberg, che tuttavia aveva rinunciato al progetto. Sarebbe stata probabilmente un’impresa complessa da affrontare, dovendo raccontare minuziosamente una storia che si, aveva fatto il giro del mondo, ma che rimaneva pur sempre una storia “italiana”. E, infatti, Bellocchio ricostruisce con zelo il quadro paesaggistico, sociale e culturale di quegli anni, cogliendo al balzo la palla lanciata oltreoceano da Spielberg.
Fortunatamente per noi Bellocchio ci rasserena, affermando: «Ho 83 anni e sono ancora vivace, mi piace ancora fare il cinema, l’entusiasmo non mi manca». Nell’attesa di scoprire i suoi progetti futuri, l’invito rimane quello di andare al cinema e godersi questa lezione registica e stilistica di Marco Bellocchio con il suo Rapito.
Lo scandalo Mortara
Rapito racconta lo scaldalo del caso Mortara. È la sera del 23 Giugno 1958. Edgardo è il sestogenito della famiglia Mortara, di origine bolognese e di regione ebrea. All’improvviso alla porta giunge un emissario dello Stato Pontificio incaricato di portare via il bambino in quanto battezzato. Si ritiene, infatti, che la precedente domestica, di fede cattolica, abbia battezzato in segreto il bambino quando aveva pochi mesi di vita e pertanto, essendo convertito ad un’altra religione, Edgardo è costretto a separarsi dalla sua famiglia ebrea.
Trasferito a forza a Roma alla Casa dei Catecumeni, intraprende un percorso di formazione cattolica sotto l’ala protettiva di Papa Pio IX, il Papa Re di un’Italia in bilico. Il padre Momolo e la madre Marianna tentano invano di riavere indietro il proprio figlio, chiedendo aiuto alla comunità ebraica di Roma. Tutto ciò alza un polverone mediatico, facendo arrivare la notizia del rapimento anche in America e favorendo dunque, per il clamore suscitato, l’ascesa del Regno dei Savoia ed infuocando i moti risorgimentali contro il dominio del papato.
Rapito: la fedele ricostruzione
Rapito costituisce un affresco storico suggestivo dell’Italia di quegli anni che si appresta all’unificazione ma rimane ancora disunita. La fedeltà con cui Bellocchio ricostruisce la vicenda permette allo spettatore di avere una visione storica completa, quasi come se il regista ci stesse accompagnando passo dopo passo per compiere un salto nel passato. La pellicola affronta questo capitolo buio delle pagine italiane con scenografie e costumi curati, una scrittura (di Bellocchio e Nicchiarelli) che si fa a mano a mano più incalzante grazie ad una serie di montaggi alternati in grado di mantenere alta la suspance trascinandoci a pieno in questa cupa vicenda, in un crescendo ritmico e temporale.
Ti potrebbe interessare:
Bellocchio non si distacca dalla dimensione onirica e quasi spettrale di alcune sequenze che ci rimangano impresse nella mente come quella in cui Cristo, nella penombra della Chiesa buia, si stacca dal crocifisso davanti agli occhi increduli del piccolo Edgardo. L’immaginario che ne viene fuori è frutto anche dei chiaroscuri della fotografia che lasciano trasparire il dolore dei volti della famiglia che non chiede altro che giustizia.
Tra ateismo e moralità
Dopo il rapimento di Aldo Moro, è la volta del rapimento di Edgardo. Alla base di Rapito vi è come da consuetudine l’ateismo di fondo che permea tutte le pellicole di Bellocchio. Vi è, attraverso questo racconto, una dura critica, un attentato all’ipocrisia della Chiesa del periodo e alla morale delle istituzioni cattoliche. Papa Pio IX è così grottesco da risultare identico alle caricature vignettistiche che egli stesso sfoglia nei suoi uffici in un paio di scene del film. La sua figura si impone quasi come padre, non solo spirituale di Enea, uomo da temere, che è così caricaturale da farci dimenticare che egli è comunque figlio del suo tempo.
Dunque tra attacchi al potere, desiderio di libertà e vincoli religiosi, Marco Bellocchio si riconferma (anche se non aveva bisogno di farlo) con il suo cinema civile e con quel vigore narrativo e visivo che continua a contraddistinguerlo.
8
HyRankRapito
Marco Bellocchio ci propone un altro esempio di cinema civile. Mette in scena lo scandalo del caso Mortara, cui anche Spielberg era interessato, e lo fa ricostruendo fedelmente l'Italia stanca e vacillante nel periodo risorgimentale. Il montaggio e la musica, insieme alla scrittura ci trascinano in un magma crescente di emozioni grazie anche alle impeccabili interpretazioni dei protagonisti.