The Whale, Recensione – Una tetra carezza
La nuova commovente pellicola di Aronofsky con protagonista Brendan Fraser, The Whale, è un’amara carezza che ci ha commosso.
The Whale è il nuovo film di Darren Aronofsky presentato in anteprima a Venezia 79 e disponibile nelle sale italiane dal 23 febbraio. La pellicola racconta la toccante storia di Charlie, interpretato magistralmente da un Brendan Fraser che ritorna finalmente sullo schermo dopo anni di assenza e riceve la sua prima candidatura all’Oscar. Per questa straziante narrazione, l’attore ha anche vinto il premio come miglior attore protagonista ai Critics Choice Awards e ai SAG Awards, vittoria che appare come una sorta di riscatto per Fraser, stessa redenzione che cerca anche il suo personaggio. Troviamo un Aronofsky diverso, più intimo. The Whale è a tratti una carezza a tratti un pugno nello stomaco, in entrambi i casi ci fa commuovere.
The Whale: un dramma claustrofobico
The Whale è tratto da uno spettacolo teatrale del 2012 di Samuel D. Hunter, sceneggiatore del film. La pellicola racconta di Charlie (Brendan Fraser), un professore che gestisce corsi universitari di scrittura online, e che soffre di obesità grave, motivo per cui non si mostra ai suoi alunni, tenendo spenta la webcam, e recide i contatti con il mondo esterno. Confinato nelle mura domestiche, è accudito solo dall’amica Liz. La sua situazione è critica, il suo livello di salute instabile, si rifiuta di andare in ospedale e pertanto è consapevole di star morendo.
Dunque cerca di riallacciare i rapporti con la figlia Ellie (Sadie Sink), perennemente arrabbiata con il mondo e in preda a un turbinio di emozioni adolescenziali. La ragazza è così distaccata dal padre perché è stata abbandonata da quest’ultimo quando era piccola. Charlie, infatti, è sprofondato nel declino proprio a causa della morte di uno studente con cui aveva una relazione. La comparsa poi di un ragazzo, membro della confraternita New Life sarà motivo di varie riflessioni sul suo passato.
Aronofsky VS Aronofsky
The Whale appare un po’ lontano rispetto ad altri successi di Aronofsky come Requiem for a dream (2000) o Il cigno nero (2010) che esploravano sempre la sfera delle dipendenze ma approfondendo gli aspetti psicologici e oscuri con ricorso a dettagli orrorifici. L’inquietudine è sempre presente in The Whale ma si cela più che altro dietro la delicatezza e insieme la crudezza delle piccole azioni del protagonista e degli intensi sguardi su cui si basano le relazioni.
The Whale appare più simile a The Wrestler, sempre presentato in concorso a Venezia, dove vinse il Leone d’oro. Randy Robinson, il protagonista, è una sorta di doppio di Charlie che, proprio come lui, messo alle strette dalla vita, cerca di riallacciare i rapporti con la famiglia per potersi quantomeno illudere di aver fatto qualcosa di buono nella vita.
Paralisi e claustrofobia
The Whale può vantarsi di eccellere in tutti i reparti tecnici, dalle prestazioni attoriali alla fotografia. Ciò che stupisce è l’utilizzo del 4/3, un formato claustrofobico che rende Charlie ancora più ingombrante; c’è una sproporzione tra la massiccia corporatura del protagonista e lo schermo che lo rinchiude e lo immobilizza. Questo senso di paralisi è dettato anche dal fatto che tutta l’azione si svolge in un solo luogo, la casa di Charlie, con le finestre chiuse e pochi spiragli di luce, ad evidenziare il distacco tra il protagonista e il mondo circostante.
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Aronofsky non ci risparmia i dettagli più miseri, ci mostra il sudore di Charlie, il sudiciume della sua cucina, e ci mette in condizioni di essere disgustati e irritati, quasi si fatica a guardare la voracità di alcune scene. I toni bui della fotografia ci fanno percepire l’oscurità in cui è sprofondato Charlie. Ci sentiamo oppressi, scomodi, fuori posto ma allo stesso tempo proviamo compassione per il protagonista perché in fondo The Whale è un racconto di redenzione, a metà strada tra Moby Dick e la Bibbia, il cui significato è profondamente umano.
Tra la Bibbia e Moby Dick
Nel discorso di ringraziamento ai Critics Choice Awards Brendan Fraser dice:
Se anche voi come il ragazzo di nome Charlie che ho interpretato in questo film, in qualche modo lottate contro l’obesità o vi sentite in un mare oscuro, voglio che sappiate che se potrete avere la forza di alzarvi in piedi e andare verso la luce, le cose belle accadranno.
Questo è il messaggio che vuole trasmettere anche la pellicola di Aronofsky, un messaggio di speranza e di dolce pietà verso le persone. Charlie è convinto che non potranno mai esistere “persone incapaci di non amare”, ha fiducia in quel bene biblico che si incarna metaforicamente nella figura del predicatore della New Life.
Accanto alla Bibbia, assume valore Moby Dick di Melville che si collega al titolo. Sentiamo ripetutamente, sin dalla prima scena, un tema su questo libro in cui si fa riferimento alla tristezza dei lunghi capitoli in cui l’autore descrive l’enormità della balena, capitoli tuttavia che lo scrittore del saggio trova necessari. È proprio questa lettura che sarà salvifica per Charlie. Sul finale (ALLERTA SPOILER!) l’ascesa con Ellie che legge il suo tema è una liberazione dal peso, non solo letterale, del suo corpo, ma dal peso dei suoi peccati da cui è stato finalmente assolto grazie alla riconciliazione con la figlia.
The Whale è una storia di umanità e redenzione, dal significato biblico. Oscuro e carezzevole, che vi farà commuovere e riflettere. Una pellicola struggente, che merita davvero di essere vista.
8.5
HyRankThe Whale
The Whale ha un significato profondo che ci lascia spiazzati e commossi. Il formato 4/3 è claustrofobico e paralizzante. Le interpretazioni degli attori sono magistrali e tutto il reparto tecnico, dal trucco alla fotografia è impeccabile. Un film difficile da "digerire" ma che vale la pena vedere. Una pellicola a metà tra la Bibbia e Moby Dick che è oscuro e delicato contemporaneamente.